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METODI DI VERIFICA DELLE CAPACITA’ PRANOTERAPEUTICHE

(Pubblicato su Metapsichica, pag 107-117) di William Giroldini

Nell’ambito della medicina naturale un posto di rilievo è occupato dalla Pranoterapia, che consiste essenzialmente nella imposizione delle mani sul corpo del malato, nella maggior parte dei casi senza contatto diretto, e senza la somministrazione di farmaci di qualsiasi genere. Questa tecnica, chiamata con diversi nomi, si ritrova sostanzialmente nelle tradizioni più antiche della medicina di quasi tulle le culture umane.

Nella nostra cultura occidentale, permeata dal moderno pensiero scientifico e da un grande sviluppo della medicina basata su tecnologie estremamente sofisticate, sopravvive comunque la pranoterapia, seppure molto osteggiata dalla medicina ufficiale, che la considera priva di basi scientifiche e soprattutto di una effettiva azione terapeutica.

Da queste accuse i pranoterapeuti (e le associazioni in cui sono variamente associati) si difendono mostrando una vasta casistica di malati su cui la pranoterapia avrebbe conseguito risultati eccellenti, I critici ribattono attribuendo tali risultati positivi (che indubbiamente non si possono negare) al cosiddetto “effetto placebo’, un fenomeno di origine psicologica che consiste essenzialmente in un miglioramento dei sintomi di molte malattie a opera di una riconosciuta capacità della nostra mente di poter agire sul corpo (soma) attraverso una grande varietà di meccanismi biochimici ed ormonali che sono sotto un controllo almeno parziale del sistema nervoso centrale, e quindi dipendenti a loro volta da fattori psicologici.

Per esempio gli stati depressivi tendono a diminuire l’attività del sistema immunitario, aumentano la sensibilità al dolore, ed influenzano in senso negativo una vasta serie di altri meccanismi biochimici. Uno stato di serenità e fiducia in sé stessi agisce in senso opposto, normalizzando o migliorando molti aspetti della nostra biochimica.

Pertanto può essere sufficiente la fiducia nelle capacità del pranoterapeuta e sua abilità a circondarsi da un alone di fama e rispetto, per conseguire un miglioramento del livello psicologico del malato, e da qui anche un miglioramento del livello somatico su una vasta serie di malattie le più diverse fra loro.

Pur non negando esistenza dell’effetto placebo, che è stato dimostrato dalla medicina scientifica con un gran numero dì sperimentazioni in doppio cieco in cui si confronta l’azione di un farmaco con un prodotto inerte (all’insaputa del paziente), i pranoterapeuti sostengono tuttavia che questa visione è riduttiva, e che la pranoterapia può indurre sul paziente degli effetti positivi che vanno ben oltre l’effetto placebo.

Se la pranoterapia fosse interamente riconducibile a tale effetto, a mio parere sarebbe comunque giustificata la sua esistenza, nonché la libertà individuale di ricorrere ad essa, in quanto l’effetto placebo potrebbe essere considerato, a tutti gli effetti, una terapia (sintomatica) generale di molte malattie, specie di quelle a base psicosomatica e dove entra una componente dolorifica in tutte le sue forme.

E’ peraltro molto interessante stabilire scientificamente se la pranoterapia possa indurre effettivi miglioramenti o complete guarigioni al di là dell’effetto placebo.

In tal caso, si potrebbe supporre esistenza di una componente squisitamente paranormale in tale risultato, dato che la tecnica normalmente utilizzata non implica alcun tipo di contatto fisico col paziente.

Storicamente sono state descritte un certo numero di tecniche per dimostrare la obiettiva capacità del pranoterapeuta di indurre guarigioni, escludendo effetto placebo.

Sempre dal punto di vista storico, uno dei concetti più comuni che circolano nell’ambiente dei pranoterapeuti, è che il sensitivo-pranoterapeuta sia in grado di emettere un quid, variamente denominato fluido “Prana’, “bioenergia’ etc che sarebbe responsabile dell’azione guaritrice. Alcune di queste tecniche sono state specificamente ideate ed utilizzate per dimostrare l’esistenza di tale fluido, e quindi la obiettiva esistenza dell’azione guaritrice.

In questo articolo descriverò le principali tecniche che sono state utilizzate e fornirò un parere circa la effettiva capacità della tecnica di dimostrare qualcosa.

TECNICHE STRUMENTALI NON BIOLOGICHE

 La tecnica della Camera Kirlian

Questa tecnica è stata inventata negli anni trenta da un fotografo russo Semeyon Kirlian, e consiste in una elettro-fotografia (oggi a colori) che mette in evidenza il cosiddetto “effetto corona” prodotto dalla scarica ad alta tensione (oltre 6000 volts) e ad alta frequenza (circa 10000 Hz) che avviene fra l’oggetto da fotografare ed una piastra conduttrice della macchina. L’oggetto da fotografare può essere inanimato oppure (è il caso più comune) è la mano del sensitivo-pranoterapeuta oppure del paziente.

Si ottengono immagini molto suggestive e pittoriche che mostrano tipicamente un alone luminoso più o meno accentuato attorno alle dita e alla mano del soggetto.

Da queste foto gli aspiranti pranoterapeuti ricavano spesso la convinzione di possedere straordinarie capacità concesse solo a pochi comuni mortali.

Il problema principale con la foto Kirlian è che manipolando opportunamente i parametri della macchina (tempi di esposizione, tensione delle correnti e loro frequenza, qualità della pellicola, modalità di sviluppo) si possono modificare i risultati entro ampi limiti. Peraltro, anche se si tengono rigorosamente costanti i parametri della macchina e dello sviluppo, si osservano differenze significative sullo stesso soggetto a distanza di ore e giorni. Come interpretare le differenze individuali nella forma e qualità degli aloni luminosi che circondano le dita della mano? Il principale parametro che determina l’alone attorno le dita è dato dalla umidità cutanea (la pelle emette continuamente vapore acqueo, e questo è un gas conduttore che contribuisce in modo determinante all’effetto corona).

L’effetto corona si ottiene anche fotografando oggetti metallici, i quali sono conduttori, ma non emettono sicuramente Prana.

Se si riveste la mano con un sottile guanto di materiale plastico isolante (esempio guanti da chirurgo in polivinile) l’effetto corona scompare quasi del tutto. Pertanto non ha senso considerare l’alone attorno alle dita come una prova diretta dell’esistenza del “fluido” in quanto si tratta soprattutto di vapore acqueo, che può essere bloccato da un sottile strato di materiale isolante, Il presunto “fluido” o “Prana”, se fosse quello fotografato dalla Kirlian, non dovrebbe certo essere facilmente bloccato in questo modo, dato che nella comune descrizione data dai pranoterapeuti viene immaginato come un quid in grado di agire a distanza, e di penetrare in profondità nel corpo del malato.

Detto questo, occorre dire che la foto Kirlian può mettere in evidenza variazioni di conducibilità elettriche della pelle che sono in diretta relazione con variazioni della sudorazione, che a loro volta sono fortemente connesse con variazioni dello stato emozionale, oppure con altri parametri psicofisiologici.

In particolare la relazione che esiste fra conducibilità elettrica cutanea e stati emozionali è nota in psicofisiologia da moltissimi anni e correntemente utilizzata da molti medici e psicologi tramite opportuni strumenti attualmente in commercio.

Esiste anche una diffusa interpretazione delle foto Kirlian secondo criteri proposti dal medico tedesco Mandel, che mette in relazione forma ed ampiezza degli aloni luminosi attorno alle dita di mani e piedi con tutta una varietà dì disfunzioni organiche. Sulla validità di tale correlazione è molto difficile esprimere un’opinione, trattandosi comunque di teorie che si pongono al di fuori della medicina convenzionale.

Si può solo affermare con una certa sicurezza che la foto Kirlian non può costituire una prova dell’esistenza del “Prana’ così come sostenuto nell’ambiente dei pranoterapeuti, mentre potrebbe costituire un mezzo diagnostico indiretto per molte malattie, sempre che si possa dimostrare la corrispondenza fra “segni” sulla foto e le varie malattie.

La tecnica elettroencefalografica (EEG)

Questa tecnica è stata applicata estesamente per primo dal Dr. Marco Margnelli per conto deII’ANPSI (Margnelli, 1987).

In seguito ho utilizzato anch’io questa tecnica nell’ambito di una serie dì ricerche più estese che implicavano anche lo studio della psicocinesi.

Questa tecnica permette di vedere innanzi tutto le capacita di concentrazione mentale di un soggetto, vale a dire principalmente il ritmo alfa, oltre che altri parametri elettroencefalografici quali la simmetria e correlazione fra l’attività dei lobi cerebrali destro e sinistro, ed i ritmi theta e beta.

Una ricerca eseguita dall’autore (Giroldini, 1994) che conferma dati precedenti raccolti dal Dr. Margnelli, ha mostrato che nei migliori sensitivi pranoterapeuti il ritmo alfa è molto sviluppato, e si presenta spontaneamente appena il soggetto chiude gli occhi e comincia rilassarsi, oppure quando esercita la sua azione Prana su di un soggetto.

Per contro, il ritmo alfa è decisamente meno sviluppato e profondo nei soggetti ”normali” e nei pranoterapeuti dilettanti, cioè con poca esperienza o capacità.

Il ritmo alfa è dato da onde elettriche misurabili a livello dello scalpo, generate dalla corteccia cerebrale, nella banda di frequenze comprese fra 8 e 12 Hz (oscillazioni al secondo) con una ampiezza compresa fra 10 e 60 microvolt.

Questo ritmo è tipico del rilassamento profondo, ad occhi chiusi, ed è particolarmente sviluppato nei soggetti che praticano tecniche quali lo Yoga o la Meditazione, o altre tecniche di autocontrollo mentale. Nei migliori pranoterapeuti che ho potuto esaminare, il ritmo alfa si instaura spontaneamente nel giro di pochi secondi, appena sono chiusi gli occhi, con una ampiezza ed una stabilità molto elevate, a differenza di quanto succede nella maggior parte delle persone dove si presenta in ‘fusi” della durata di uno-due secondi seguiti da intervalli di assenza dell’ordine dei 10-30 secondi. Cosa ancor più sorprendente. il ritmo alfa permane in alcuni pranoterapeuti anche quando operano su di un soggetto ad occhi aperti, condizione questa (apertura degli occhi) che è normalmente sufficiente per far sparire il ritmo alfa.

La stretta relazione fra capacità pranoterapeutiche (valutate sulla base dell’esperienza e dei risultati clinici ottenuti dal pranoterapeuta) e ritmo alfa, sembra essere attualmente l’ indice più obiettivo e di facile misurazione oggi disponibile per valutare velocemente le capacità praniche. Questa misura naturalmente non permette di evidenziare direttamente alcun “fluido” né alcuna capacità paranormale in senso stretto, ma solo di valutare una caratteristica psicofisiologica, secondo tecniche standard, che corrisponde alla attitudine di un soggetto a entrare facilmente in uno stato di rilassamento profondo, isolandosi notevolmente dal mondo esterno, in cui diventa più facile avere accesso ad una serie di esperienze parapsicologiche di tipo generale (ESP e PK).

Test di psicocinesi (PK) computerizzata

Ho proposto ed iniziato per primo questa tecnica nel 1992 per conto dell’ANPSI, in associazione al test EEG, a completamento di una sperimentazione di cui ho parlato in alcuni articoli (Giroldini, 1991).

Consiste in un test della durata di circa 10 minuti che si esegue al computer, dove un soggetto cerca di influenzare mentalmente un dispositivo elettronico che è collegato al computer. Il dispositivo elettronico è un generatore di segnali elettrici casuali, mediante il quale il programma che gira sul computer modifica la traiettoria di una traccia (o altro disegno) che compare sul monitor. La traccia ha un andamento casuale verso l’alto o verso il basso dello schermo. Il presupposto teorico è che sia possibile, mediante una azione psicocinetica, agire sul generatore di segnali in modo da modificare la traccia in una direzione predeterminata (per esempio verso l’alto). Il test è ispirato ad una serie di analoghe sperimentazioni sulla psicocinesi descritte nella letteratura scientifica.

Trattandosi esplicitamente di un test di psicocinesi, la relazione con le capacità pranoterapeutiche è quindi indiretta, ed è basata sull’ipotesi che i pranoterapeuti possano ottenere risultati migliori (in questo test) rispetto alle persone normali.

Sembra che le cose stiano effettivamente cosi’. dal 1990 al 1993 ho potuto condurre personalmente questo test su circa 70 pranoterapeuti (o aspiranti tali) ed ho ottenuto dei risultati che mostrano chiaramente come il risultato medio del test migliori sensibilmente all’aumentare dell’esperienza del pranoterapeuta.

Per pranoterapeuti aventi una esperienza compresa fra 0 e 1 anno (N=57), il risultato medio del test è +0.048, per quelli (N=R) con esperienza compresa fra 1 e 3 anni, il risultato medio vale +1.83, e per quelli (N=5) con esperienza oltre i 3 anni, il risultato sale a +3.11. (Questi numeri esprimono una deviazione percentuale dalla attesa casuale, che vale

esattamente 0.0 in assenza di effetti psicocinetici). Questi risultati confermano che l’effetto PK esiste ed è decisamente migliore nei più bravi pranoterapeuti.

Il test ha valore solo indicativo, in quanto diversi sensitivi, anche bravi, si trovano a disagio nell’agire mentalmente su un sistema elettronico che assomiglia ad un videogame.

Test della azione a distanza su un colloide di ossicloruro di bismuto

Questo test è stato proposto presso l’Università di Milano da A. Ansaloni e P. Vecchi, e consiste nel modificare la velocità di sedimentazione di un colloide di ossicloruro di bismuto (Ansaloni e Vecchi, 1991).

Il soggetto (o il pranoterapeuta} impone le mani, a distanza, per circa 20 minuti su dell’acqua distillata. L’acqua così ottenuta viene denominata “acqua bioattivata’ ed essa viene quindi utilizzata per effettuare il test con il bismuto, confrontando il risultato con quello ottenuto con acqua distillata non trattata.

Gli sperimentatori hanno riportato i risultati dei loro esperimenti, condotti su un centinaio di pranoterapeuti, confrontandoli coi risultati ottenuti da soggetti normali e con le prove in bianco. I loro dati mostrano una significativa modificazione (in media) della velocità di precipitazione del bismuto ossicloruro da parte dei soggetti pranoterapeuti, mentre i controlli ed i soggetti normali forniscono risultati sovrapponibili, cioè molto simili.

La realizzazione pratica di questi esperimenti richiede una buona manualità e riproducibilità delle condizioni sperimentali.

In particolare sarebbe stato meglio realizzare gli esperimenti in condizioni tali da minimizzare gli effetti di interferenza dovuti a campi elettromagnetici e radiazioni ionizzanti naturali che sono suscettibili di modificare sensibilmente la velocità di precipitazione dei colloidi. Ciò nonostante, i risultati complessivi di questa sperimentazione sono molto interessanti e meritevoli di ulteriore attenzione.

Essi indicano con chiarezza che i pranoterapeuti possono agire su un sistema chimico particolare (come i colloidi) modificando un parametro chimico-fisico, senza contatto diretto.

TEST SU SISTEMI BIOLOGICI

Test sulla velocità di sedimentazione del sangue

La velocità di eritro-sedimentazione (VES), cioè la velocità con cui gli eritrociti sedimentano spontaneamente separandosi dal siero, è stata utilizzata da Ansaloni e Vecchi (1991) come ulteriore metodo per verificare le capacità dei pranoterapeuti.

Lo scopo era quello di tentare un approccio sperimentale che passasse da sistemi inorganici, come il colloide all’ossicloruro di bismuto, a colloidi decisamente biologici, come il sangue.

I soggetti dovevano trattare a distanza le provette contenenti sangue umano, passando per un certo tempo le loro mani sopra le provette. Il test di sedimentazione veniva successivamente effettuato esprimendo il risultato secondo l’ indice di Katz.

Una analoga serie di misure di controllo veniva effettuata sugli stessi campioni di sangue, che non erano stati trattati dal pranoterapeuta. Anche in questo caso gli sperimentatori hanno riportato una differenza significativa della velocità di sedimentazione fra campioni di sangue trattati e non trattati, osservando nella maggior parte dei casi un aumento dell’indice di Katz. Quindi i risultati sono stati congruenti con quelli ottenuti coi collodi inorganici.

Ansaloni e Vecchi interpretano questi dati in termini di ‘bioenergia” che agisce su strutture molto sensibili a deboli effetti chimico-fisici quali i colloidi.

lo preferisco interpretare questi risultati col concetto più generale di psicocinesi, cioè azione diretta della mente sulla materia, poiché gli effetti psicocinetici sono stati riportati in letteratura scientifica su una grande varietà di sistemi fisici, quali il decadimento di atomi radioattivi, le microsfere di polistirolo, i circuiti elettronici, i colloidi inorganici, fino ai sistemi biologici (sangue, microrganismi, semi, piante, ed animali).

Test dell’azione a distanza sulla velocità di crescita di semi e piante

In letteratura sono stati riferiti molti esperimenti di questo tipo, per esempio possiamo citare Loehr (1959); Grad, (1965); Miller, (1978). I soggetti che tentavano di influenzare la crescita di semi e piante erano persone qualsiasi, peraltro ben motivate psicologicamente, ed anche pranoterapeuti.

I risultati riportati mostrano che è effettivamente possibile, mediante la sola azione mentale, influenzare la velocità di crescita di semi e piante, nel senso generalmente di favorire un più veloce sviluppo dei semi o delle piante.

Tipicamente gli esperimenti sono condotti preparando un certo numero di vasetti contenenti semi di piante a crescita veloce (esempio: fagioli) avendo cura di creare e mantenere delle condizioni di umidità, temperatura, e illuminazione molto omogenee fra due gruppi eguali di vasi. Il primo gruppo viene giornalmente “trattato” da uno o più sensitivi-pranoterapeuti per almeno 20 minuti, alla distanza di almeno un metro, per circa due settimane. L’altro gruppo di controllo non riceve il trattamento Prana, ma solo le stesse cure ordinarie riservate a tutti i vasetti.

La valutazione dei risultati si effettua documentando per via fotografica o altro la velocità di crescita dei due gruppi di semi o piantine.

A mio giudizio questo è un test molto sensibile, ma richiede tempi di esecuzione piuttosto lunghi (almeno due settimane) per poter seguire la crescita dei semi trattati dal pranoterapeuta rispetto al gruppo di semi di controllo. E’ assolutamente necessario assicurare una elevata omogeneità delle condizioni ambientali ai semi in modo da eliminare differenze di crescita dovute a cause diverse dall’azione Prana.

Per ovviare a queste difficoltà si potrebbe adottare un altro metodo che ho descritto in esperimenti che ho condotto diversi anni fa (Giroldini, 1986).

In quegli esperimenti descrivevo un procedimento consistente nel misurare, con un opportuno strumento, la debole attività elettrica presente sulle foglie delle piante. Questa attività elettrica spontanea, che per certi versi ricorda l’attività EEG, ma ha ovviamente un significato bioelettrico molto diverso, può essere misurata con continuità, e quindi è possibile misurare il valore medio in una certa pianta in un certo intervallo di tempo, e poi chiedere ad un sensitivo di cercare di aumentare questo valore, per esempio durante 5 minuti, mediante una azione mentale a distanza.

Gli esperimenti che ho eseguito nel 1986 in questo modo, hanno mostrato che effettivamente si può ottenere un aumento dell’attività elettrica spontanea sulle toglie per semplice concentrazione mentale. Se si ha cura di eseguire correttamente l’esperimento, schermando in una gabbia di Faraday le piante, e misurando l’attività elettrica prima e dopo l’azione prana, si può disporre di un test dì accettabile velocità di esecuzione e sensibilità. E’ un test che assomiglia molto alle reali condizioni operative del pranoterapeuta perché agisce su un sistema biologico vivente, con la completa esclusione del famigerato “effetto placebo” (o suggestione) che inquìna sempre qualunque azione prana su di una persona.

Test dell’azione a distanza su animali da laboratorio

Questo test si basa su animali da laboratorio (in genere topi o ratti) a cui viene indotta una ferita (per esempio un edema sottocutaneo), che il pranoterapeuta dovrà curare a distanza senza mai toccare gli animali.

Un esperimento di questo tipo è stato descritto da Bellentani et al. (1987) sui topi, mentre Wirth et al. (1992) hanno descritto esperimenti condotti con salamandre a cui furono amputati gli arti anteriori (in questi animali le zampe ricrescono spontaneamente). In entrambi gli esperimenti i pranoterapeuti riuscirono ad accelerare la guarigione negli animali da loro trattatì.

Il test si esegue su due gruppi eguali di animali, di cui solo un gruppo viene trattato dal sensitivo allo scopo di accelerare la guarigione, l’altro funge da controllo.

Il tempo di esecuzione è di un paio di settimane circa, con trattamento giornaliero.

Si richiede la collaborazione di un biologo o di un medico che sappia come trattare gli animali, come indurre la ferita e decidere un valido procedimento per misurare la velocità di

guarigione. Il test si presta bene per valutare le capacità pranoterapeutiche di un soggetto, escludendo completamente l’effetto placebo, ma richiede che il lavoro sia ben condotto sperimentalmente da persone esperte, in un laboratorio attrezzato.

Questo test è quello che più assomiglia alle reali condizioni operative del pranoterapeuta, ma non è facilmente eseguibile in tempi brevi, e neppure per un numero elevato di soggetti (quanti animali e quanto tempo occorrerebbe impegnare?).

CONCLUSIONI

Da questa breve disamina, emerge che oggi sono disponibili (in linea di principio) una grande varietà di test per valutare le reali capacità pranoterapeutiche di un soggetto. Ciascun metodo presenta vantaggi e svantaggi, alcuni sono veloci, ma indiretti, quelli più diretti (come l’ultimo descritto) sono troppo complessi per essere eseguiti correntemente, per questi motivi le varie Associazioni di pranoterapeuti continueranno ad utilizzare principalmente il metodo Kirlian, poi l’analisi EEG, ed anche altri metodi che qui non ho descritto perché penso che non abbiano alcuna relazione con le capacità pranoterapeutiche.

Bibliografia

M. Margnelli, “Risultati preliminari di una ricerca sull’elettroencefalogramma durante la pranoterapia”, in: Psicobiofisica in Pranoterapia, a cura di L. Muti, Musumeci Editore, (1987).

W. Giroldini. “Analisi spettrale elettroencefalografica durante la pranoterapia’, in: L‘Uomo e il Mistero, a cura di Paola Giovetti, p.l77-185, (1994).

W. Giroldini, “Psicocinesi mediante tecniche computerizzate”, Quaderni di Parapsicologia, VoI. 22(2), p.29-42, (1991).

A.Ansaloni, P. Vecchi “La pranoterapia in laboratorio”, Quaderni di Parapsicologia, Vol. 22(1), p.l5-30, (1991).

F. Loehr “The power of prayer on plants”, Doubeday, New York (1959).

B. Grad “Some biological effect of the laying on of hands”, Journal A. S. P. R., 95, 129 e 59,2 (1965).

R. Miller “Metodi per scoprire e misurare le energie guaritrici”, da Parapsicologia scienza del futuro, di J. White e S. Krippner, Armenia (1978).

W. Giroldini “Esperimenti di azione mentale sulle piante”, Quaderni di Parapsicologia, p21-30, (1986).

P. Bertolani, M.S. Bellentani, Gradellini, G. Noera “Proposta per un corretto approccio medico-scientifico allo studio dei guaritori pranoterapeuti”, Metapsichica, p.34-44, (1987).

D. Wirth, C. Johnson, J. Horvath, and A. MacGregor “The effect of alternative healing therapy on the regeneration rate of salamander forelimbs’, Journal of Scientific Exploration, 6(4), p375-390, (1992).

 

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