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Placebo, nocebo e dintorni…

Placebo, nocebo e dintorni… - Lo Spirito

Avete mai sentito parlare di effetto placebo? Si tratta di una serie di reazioni del nostro organismo che avvengono in seguito ad un fenomeno legato all’aspettativa. Se crediamo fermamente che un’azione o una sostanza abbia un effetto sull’organismo, molto probabilmente otterremo qualche risultato misurabile. 

Alcuni esempi: se siamo ansiosi, la somministrazione di una pillola di semplice zucchero presentata come “anti ansia” riuscirà a calmarci, se invece abbiamo un dolore, la somministrazione di un presunto antidolorifico causerà la diminuzione del sintomo, mai come una molecola attiva per quel disturbo ma in maniera misurabile e percettibile. L’effetto placebo funziona praticamente sempre e può essere rinforzato da alcune azioni: chi somministra la pillola di zucchero, per suscitare un effetto maggiore, dovrà farlo con convinzione, presentando quel rimedio come potentissimo, effettuando un rituale che ci colpisca: è il fenomeno del “rinforzo” che è legato anche a fattori ritenuti “insignificanti”, il colore della pillola, la forma di somministrazione, il numero delle pillole che somministriamo.

L’effetto è molto potente, gli stessi studi scientifici più seri, infatti, tendono a paragonare un nuovo farmaco ad un placebo, proprio per non confondere l’efficacia dovuta alla nuova molecola con le normali risposte dell’organismo anche in assenza di sostanze attive. Si è visto che una puntura placebo è più potente di una pillola (perché tutti siamo convinti che un “medicinale” che provoca dolore dovrà per forza di cose essere più “forte”), una compressa blu di zucchero funzionerà sull’ansia molto di più rispetto alla stessa compressa ma rossa, un cucchiaio di zucchero sarà molto più efficace nel curare la cefalea se somministrato dopo una lunga visita medica piena di domande e test, insomma, se ce ne fosse ancora bisogno, il placebo dimostra come noi esseri umani siamo tanto complessi quanto condizionabili e sorprendentemente, ci sono placebo che funzionano più delle medicine.

I meccanismi mediante i quali l’effetto placebo causa una reazione misurabile sono diversi (alcuni ancora misteriosi): dal punto di vista psicologico, alla somministrazione di una sostanza che riteniamo “attiva”, la nostra mente mette in atto molti meccanismi che permettono un effetto reale (un dolore si sopporta meglio, uno stress si riduce…), si chiama aspettativa (ci aspettiamo che una sostanza faccia bene e questo succede, anche se la sostanza non ha un effetto benefico) ma è anche la fisiologia a rispondere all’effetto, l’attesa di un miglioramento causa il rilascio nell’organismo di sostanze che hanno realmente un’azione positiva, prime tra tutte le endorfine ma anche piccolissime quantità di adrenalina (che permette di resistere meglio agli stress) e adenosina (che ha un provato effetto antidolorifico). Più siamo convinti che qualcosa ci farà bene, più questo succederà, indipendentemente da ciò che assumiamo. Questo effetto funziona su tutti, adulti e bambini, persino sui neonati e sugli animali e, strano a dirsi, anche se il “paziente” è consapevole di assumere…niente. Per chi è curioso, il medico inglese Ben Goldacre ne parla in un interessante video.

Tutto ciò che ci circonda può avere un effetto placebo, una sostanza assunta come se fosse un farmaco ma anche le carezze, la voce, la musica, il rilassamento, per questo il fenomeno è studiato da decenni con risultati a volte incredibili. Un curioso esperimento misurava la reazione di alcuni soggetti al caffè. A tre gruppi di persone è stato somministrato rispettivamente caffè normale, decaffeinato e decaffeinato presentato come normale (quindi mentendo, era caffè con caffeina). A tutti i soggetti sono stati misurati i parametri fisici (pressione, frequenza cardiaca…) e le reazioni (attenzione, reattività) del corpo, sono i parametri che la caffeina in genere riesce a modificare (molti di noi prendono il caffè per “svegliarsi”): i risultati? I parametri sono stati significativamente aumentati solo nel gruppo che ha assunto caffè decaffeinato ma convinto di bere caffè normale, gli altri gruppi avevano tutti parametri vari ma non particolarmente aumentati, strano ma vero, la mente è stata più efficace di una sostanza chimica.

Non deve sorprendere, questo accade anche con i farmaci “normali”, molti dei loro effetti sono esaltati dalla nostra convinzione di “farci del bene”, pensate alle mamme che riempiono i bambini di granuli omeopatici (semplice zucchero) convinti di curarli e che “davvero” li vedono stare meglio. La capacità di “curarsi con nulla” è conosciuta dall’antichità, la vecchia medicina che aveva pochissime armi per sconfiggere le malattie utilizzava il placebo ed i suoi “rinforzi” proprio a questo scopo, il vecchio medico condotto prescriveva passeggiate in montagna più che pillole, qualcuno ricorderà le “punture ricostituenti” che ci tormentavano da piccoli e poi tutta la serie di “medicine” basate sul “nulla”: forse come l’omeopatia, i fiori di Bach o (in parte) l’agopuntura.

Insomma, tutta questa manfrina per comprendere come molti dei nostri malesseri (escludiamo naturalmente le malattie serie) hanno un’altissima componente psichica, no, non siamo matti, siamo semplicemente persone ragionevoli e quindi condizionabili nel bene e nel male e per questo motivo quando abbiamo piccoli disturbi, malattie passeggere, pensiamo positivamente, cambiamo aria, sorridiamo, sono tutte “medicine” che costano poco e funzionano, provare per credere.  Salvo Di Grazia 10 gennaio 2014 Medico chirurgo specialista in ostetricia e ginecologia

Pubblicità = effetto placebo e/o nocebo … ! ???

Negli studi clinici controllati (in cui un farmaco "nuovo" lo si confronta spesso con il placebo per definirne l'efficacia specifica) il dilemma etico è invece se sia corretto usare come confronto il placebo quando esistono già in commercio farmaci di efficacia documentata i quali potrebbero venire essi usati per il confronto con il farmaco nuovo.

Quello che emerge dalle sperimentazioni cliniche, che quasi sempre viene omesso, è che l’effetto terapeutico di qualsiasi farmaco, anche di quello più efficace, è ascrivibile solo in parte alla sua azione farmacologica. L’altra parte significativa dipende dall’effetto placebo. In altre parole, nell’uso clinico l’effetto dei farmaci dipenderà, non solo dalla farmacologia e dal loro dosaggio, ma anche dalle aspettative, sia dei dottori che dei pazienti, dai suggerimenti verbali e non verbali che verranno dati in merito all’efficacia che si creda possa avere sulla specifica malattia. Spesso l’azione farmacologica specifica di un trattamento ha solamente un ruolo marginale.

Gli effetti più clamorosi si raggiungono con la chirurgia placebo, in cui, ad esempio, una semplice incisione al ginocchio produce gli stessi effetti benefici di una vera e propria artroscopia per l'osteoartrite.

Di certo ci muoviamo in un ambito che non riesce ad essere spiegato solo sulla base della teoria della scienza occidentale basata sul metodo sperimentale. Ma di certo, così come non possiamo provarne scientificamente l’efficacia, non abbiamo nemmeno prove del fatto che possa nuocere alla salute dei pazienti.

La ricerca scientifica indipendente sta evidenziando che in molti casi i miglioramenti terapeutici sono in realtà dovuti in buona parte al naturale processo di guarigione del corpo, favorito dall’effetto placebo, generato dalle aspettative positive del paziente e del medico in merito alle azioni terapeutiche messe in atto. Tutto questo rivoluziona la visione meccanicistica della medicina occidentale. Un’azione terapeutica veramente efficace non può limitarsi all’aspetto biochimico della malattia. I farmaci più efficaci e le tecnologie medicali sono solo degli strumenti nelle mani del medico utili per alleviare i sintomi più fastidiosi ed intervenire nelle situazioni cliniche gravi. Lo studio dell’effetto placebo ci insegna quello che le antiche culture hanno sempre saputo, e cioè che le emozioni, le aspettative e le credenze dell’uomo hanno un’influenza diretta sulla sua biologia e sui processi di guarigione/malattia.

L’effetto placebo è un risultato riscontrabile oggettivamente e si riferisce a colui che, ricevendo a sua insaputa un placebo, ne ottiene un miglioramento fisico rispetto a una piccola patologia, un sintomo, o un malanno passeggero.
Questo effetto è noto fin dal Settecento ed è stato battezzato con il verbo latino che significa compiacere e dimostra come spesso l’attenzione di un medico sia capace di innescare una forma di autosuggestione che si traduce in un miglioramento effettivo per il soggetto malato. Tale effetto sembra sia da attribuire alla maggiore produzione di endorfine – analgesici naturali negli organismi umani – che i malati elaborano nell’ottimismo e nella convinzione di essere sulla via della guarigione.

La sfida della medicina moderna sarà quella di ampliare la sua prospettiva sull’uomo nella sua interezza, considerando la centralità della relazione umana tra il medico e il paziente in cui il potere terapeutico della parola è in grado di risvegliare la forza vitale capace di guarire qualunque malessere.

Un esempio pratico degli effetti di un farmaco ( tratto dal “bugiardino” incluso nella confezione ) :

V… – la…  Come agisce V…?
Il principio attivo contenuto in V…, la la…, è un farmaco antiepilettico. L'epilessia è causata da un'eccessiva attività elettrica del cervello. Le precise modalità di azione della la non sono ancora chiare, tuttavia sembra che riduca l'attività dei canali del sodio (pori sulla superficie dei neuroni) che consentono la trasmissione degli impulsi elettrici tra i neuroni. Si ritiene inoltre che la la… sia coinvolta nello sviluppo dei neuroni che sono stati danneggiati. La combinazione di tali azioni può prevenire la diffusione di attività elettriche anomale a tutto il cervello, riducendo le possibilità che insorga un attacco epilettico.

Quali studi sono stati effettuati su V…?

Gli effetti di V… sono stati analizzati in modelli sperimentali prima di essere studiati sugli esseri umani.
L'efficacia di V… assunto per bocca è stata confrontata con quella di un placebo (trattamento fittizio) nel corso di tre studi principali condotti su un totale di 1308 pazienti. Ai pazienti è stato somministrato V… nella dose di 200 mg, 400 mg o 600 mg al giorno, o il placebo, in aggiunta al trattamento in corso comprendente fino a 3 altri antiepilettici. Il parametro principale di efficacia era costituito dal numero di pazienti in cui il numero degli attacchi risultava perlomeno dimezzato dopo 12 settimane di trattamento con dose stabile.
Altri due studi, che hanno interessato complessivamente 199 pazienti, hanno esaminato la durata più appropriata per l'infusione della soluzione di V…, confrontandone la sicurezza rispetto all'infusione del placebo.

Quali benefici ha mostrato V… nel corso degli studi?

V…, alla dose di 200 o 400 mg al giorno, è risultato più efficace del placebo nel ridurre il numero di attacchi. Considerati assieme, i risultati dei tre studi principali indicano che il 34% dei pazienti che avevano aggiunto V… 200 mg/giorno e il 40% dei pazienti che avevano aggiunto V… 400 mg/giorno al trattamento in corso hanno ottenuto una riduzione del numero degli attacchi pari ad almeno il 50%. L'analogo valore ottenuto con l'aggiunta del placebo era del 23%. La dose di 600 mg ha mostrato la stessa efficacia della dose di 400 mg, tuttavia con maggiori effetti indesiderati.

Qual è il rischio associato a V…?

Gli effetti indesiderati più comuni associati a V… (ovvero quelli osservati in più di 1 paziente su 10) sono vertigini, mal di testa, diplopia (visione doppia) e nausea. Per l'elenco completo degli effetti indesiderati rilevati con V…, si rimanda al foglio illustrativo.
V… non va usato dalle persone che possono essere ipersensibili (allergiche) alla la… o ad uno qualsiasi degli altri ingredienti oppure con blocco atrioventricolare (un disturbo del ritmo cardiaco) di secondo o terzo grado. Le compresse di V… non vanno usate nei soggetti ipersensibili alle arachidi o alla soia.

Perché è stato approvato V…?

Il comitato per i medicinali per uso umano (CHMP) ha deciso che i benefici di V… sono superiori ai suoi rischi nella terapia aggiuntiva contro le crisi convulsive parziali con o senza generalizzazione secondaria nei pazienti epilettici dai 16 anni in su. Il comitato ha raccomandato il rilascio dell'autorizzazione all'immissione in commercio per V....”.

La differenza dell’efficacia fra il farmaco ed il placebo ( in questo caso ) è soltanto del 27%...!!!

Il dibattito insomma resta aperto e le domande restano tante.

Facendo una breve disamina si possono fare alcune considerazioni.

Gli attori partecipi sono il soggetto, il terapeuta e l’agente (il veicolo ):

1)    Il soggetto con i suoi bisogni, le necessità, le problematiche, le patologie da risolvere;

2)    Il terapeuta che ha un ventaglio di mezzi ed agenti ( per esempio il farmaco, più o meno “placebo” &/o “nocebo” ) per poter interagire con il soggetto;

3)    L’agente, il mezzo, il veicolo, lo strumento della possibile interazione fra terapeuta e soggetto e del soggetto con sé stesso ( escludiamo per comodità alcune sostanze, come il cianuro di potassio o la stricnina ed anche quelle psicotrope come la marihuana ).   

Come dall’esempio descritto precedentemente spesso la differenza fra un “farmaco” contenente delle molecole chimicamente “attive” e/o no… è talmente esigua che spesso risulta estremamente difficoltoso stabilire se considerare un nuovo “farmaco” veramente in grado di interagire chimicamente in maniera ponderale e sostanziale.

Quindi spesso  ci troviamo di fronte  a dover prendere in considerazioni altri aspetti che non contemplano o escludono del tutto l’azione chimica o di un prodotto “placebo”.

E’ tuttavia innegabile che nel rapporto fra soggetto e terapeuta oltre che intercorrere una relazione, avvengano degli “scambi” di informazioni ed anche di carattere energetico.  

Per esempio la “Terapia verbale” elaborata e sintetizzata dalla Dr.ssa Gabriella Mereu

…( Si è laureata in Medicina e chirurgia a Sassari nel 1983.E' diplomata in Medicina olistica ad Urbino, nella scuola diretta da Corrado Bornoroni. Sempre ad Urbino, nel 1992, si è diplomata in Grafologia. Ha seguito il corso di Medicina omeopatica tenuto a Roma dal Prof. Antonio Negro ).                                                                                       

Che cos'è la Terapia Verbale

“Sono convinta che la medicina e il medico siano solo dei veicoli e che il medico dovrebbe funzionare solo da guida, affinché la guarigione fisica si attui insieme alla consapevolezza e alla evoluzione del paziente.
La malattia è un'espressione che non fa altro che rivelare in maniera metaforica un vissuto emozionale che ha portato alla malattia stessa ... ed ancora…ho fatto una ricerca per 20 anni che mi ha portato a capire che il paziente SEMPLICEMENTE si cura da solo. …  Poiché la malattia spesso è generata da un'informazione sbagliata, si rende necessario restituire al soggetto la stessa informazione, però in maniera corretta e terapeutica”.

Oppure tutti gli altri tipi di intervento che non prendono in considerazione l’uso del

“farmaco” come mezzo, strumento di interazione fra il terapeuta ed il soggetto, ma

prendono in considerazione il fatto ormai già ben noto ed evidente che è di per sé la

“cura”, l’attenzione che il terapeuta mette in atto, direttamente o indirettamente,

nei confronti del soggetto ad essere “attiva” e funzionante. 

E’ la stessa figura del medico-terapeuta che funge “veicolo” tra

 il soggetto… e il ... soggetto e lo stato di salute-benessere.

 Riferimento...: https://www.youtube.com/watch?v=lvuVjJw1Hhs

 

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