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Aion , Chronos , Kairòs

Aion , Chronos , Kairòs - Lo Spirito
Nel mondo dei motori a combustione ci sono motori: a due tempi e a quattro tempi: sono come le stagioni: ciclici con una ripetizione delle fasi, come i lunari ed i solari.
Nel mondo greco, che è la civiltà che ha approfondito maggiormente queste tematiche di introspezione, seconda soltanto alla civiltà Egizia, ancora più profonda,
le forme conosciute del tempo sono
 
Aion , Chronos , Kairòs .
 

Aion plurali – se ne nominano 34 tipi diversi- ( in italiano Eoni ) :

in Omero e nella tradizione epica Aion indica la forza vitale e dunque, in senso traslato, la vita, il tempo e la durata della vita. Si tratta di un significato molto frequente nel mondo greco che si trasferirà ben presto al mondo romano; anche in età ellenistica il significato di aion come tempo della vita non scompare ma anzi, intrecciandosi con ulteriori significati di carattere filosofico e religioso, ritorna nel nome della grande processione (pompe) di Alessandria organizzata da Tolomeo II Filadelfo e descritta da Ateneo di Naucrati. La processione era dedicata all’anno (eniautos) e ad Aion; non può stupire, quindi, che anche nel mondo romano Cornelius Labeo riconduca il nome Januar ad Aionarios. Aion viene raffigurato che tiene con la mano destra la ruota dello Zodiaco attraverso la quale passano le personificazioni delle quattro stagioni dell’anno; Aion dunque è legato al presentarsi delle stagioni e ai frutti che queste portano. Aion è spesso raffigurato con la cornucopia, simbolo di un tempo colmo di beni e di fecondità; proprio a tale raffigurazione può accostarsi l’immagine di Aion in relazione alle stagioni dell’anno.

Chronos plurali Khronoi :per esempio MELLON (futuro), ENESTOS (presente) e infine
PAROCHEMENOS (passato).
 
il concetto aristotelico di tempo risulta chiaro se e solo se viene connesso alla nozione di kinesis; il movimento, infatti la continuità del tempo si spiega solo facendo riferimento alla continuità del movimento che a sua volta è contigua alla continuità dello spazio. Come è noto, la continuità del tempo risulta perspicua sulla base del rapporto fra linea e punto; il punto è considerato un limite, per questo motivo fra due punti di una linea sussiste sempre un altro punto così come fra due “adesso” vi è sempre un altro tempo. Coope mette bene in luce come i punti della linea si “presentano” solo se la linea viene divisa; la stessa cosa vale per il tempo, infatti, l’ “adesso” si dà solo se potenzialmente il movimento viene interrotto. In ultima analisi ciò significa che gli “adesso” sono esclusivamente delle divisioni potenziali del tempo: secondo Coope, come i punti della linea intesi come limiti non possono essere contati, neppure gli “adesso” del tempo intesi come divisioni potenziali del movimento potranno essere contati. Il tempo dunque non può essere numerato ma solo ordinato. Secondo Aristotele gli “adesso” che si susseguono sono identici e diversi; la maggior parte degli studiosi danno un’interpretazione che potrebbe dirsi “fenomenologica”: gli “adesso” sono identici in quanto vissuti “soggettivamente” come presenti ma sono diversi perché, per dirla con E. Berti, si collocano in “date” diverse. La totale “compatibilità” di Aion e dei Chronoi ma anche la loro reciproca e vicendevole limitazione. I Chronoi, dunque, non si danno senza l’azione di Aion mentre l’opera di Aion non può che riferirsi ai Chronoi: «l’Aion in quanto essenza comune è presente nei singoli tempi, e, nello stesso tempo, i singoli momenti del tempo, presente, passato e futuro, non sono altro che il modo concreto nel quale l’Aion si offre agli uomini» .
Kairòs :
Kairòs è – a differenza di Aion – un momento breve, istantaneo, addirittura contratto, atemporale e per questo quasi irripetibile. Negli Erga (694) Esiodo mette in relazione la sequela delle leggi (metra phylassesthai) con il kairòs che è epi pasin aristos, per ogni cosa l’ottimo; con questo termine, dunque, Esiodo intende descrivere una nozione di tempo qualitativa: per ogni cosa esiste un momento di compiutezza e di pienezza. Si comprendono allora le espressioni di Pindaro (Pyth., IX 78-79) secondo il quale Kairòs è il punto culminante di qualsiasi cosa e di Sofocle (El., 75 sgg.) che lo identifica con l’ordinatore di ogni grande opera. Questo termine, dunque, va man mano arricchendosi di sfumature sempre nuove e di accezioni precise; indica, infatti, il momento ottimale per ogni cosa, il punto culminante ma soprattutto lo spazio decisionale per un’azione che intende andare a buon fine e, dunque, raggiungere il proprio telos. Ma l’aspetto puntuale della decisione e il carattere culminante di ogni cosa non può essere disgiunto – soprattutto in campo etico – dalla misura. Non a caso ai Sette Sapienti viene attribuita la sentenza gnothi kairon, conosci il kairòs, il cui significato può essere reso più intuitivo se accostata alla massima di Solone meden agan, nulla di troppo. Per questo Democrito poteva esclamare kairou labetai invitando ad afferrare l’occasione, il momento giusto in cui l’azione raggiunge il suo scopo perché tutto è a questo proporzionato e commisurato. Come nel caso di Aion anche kairos viene raffigurato, passando, quindi, da concetto a immagine; le fonti antiche attribuiscono statue di Kairos a Policleto, Fidia e Lisippo ma la formazione del modello plastico e soprattutto la scelta dei caratteri propri dell’immagine certamente non furono processi pacifici e immediati ma, anzi, furono oggetto di controversie già nel mondo antico. Se di Fidia non conosciamo al momento alcuna raffigurazione (solo Ausonio gli attribuisce una statua di Occasio) e per ciò che riguarda Policleto è probabile che debba riconoscersi il suo Kairòs nell’efebo di Westmacott, con Lisippo siamo più fortunati. Grazie alle fonti letterarie, infatti, è possibile ricostruire la (controversa) formazione del modello iconografico del Kairòs di Lisippo su cui ultimamente si è soffermata V. Gigante Lanzara (Kairòs, «La Parola del Passato» CCCL (2006), pp. 337-344); tra le varie fonti letterarie (Imerio; Callistrato) che descrivono con una dose di forte realismo la statua di Lisippo spicca certamente l’epigramma di Posidippo già noto all’Appendix Planudea e profondamente detestato dallo Schott che non si faceva certo scrupolo di definirlo quam inelegans quam insipidus; ciononostante l’epigramma in questione è una testimonianza importante di quell’epoca di forte rinnovamento storico-artistico. Posidippo definisce Kairòs pandamator, ossia colui che domina su tutto: è sulla punta dei piedi, ha doppie ali, tiene nella mano destra un rasoio, ha i capelli sulla faccia ed è calvo sulla nuca. Queste le caratteristiche che Posidippo individuava nella statua del Kairos di Lisippo. La statua di Lisippo doveva essere caratterizzata da una decisiva tensione dinamica, come se il personaggio rappresentato stesse per prendere il volo. Insomma, nella statuaria di IV secolo ciò che conta è il realismo. Da questo punto di vista Mirone e Lisippo rivoluzionano il canone policleteo in favore di un realismo stringente: l’immagine rappresenta la realtà, il suo dinamismo e non la sua fissità. È evidente che tutto ciò avviene in linea diretta anche con le novità apportate dalla poetica alessandrina. Lisippo vive in pieno IV secolo, proprio nell’età di Alessandro Magno e, soprattutto, di Aristotele; di conseguenza l’A. si chiede se sia possibile individuare una presenza aristotelica nella statua di Lisippo. In Aristotele il kairòs è connesso alla teoria dell’azione e come si legge nell’Etica Nicomachea (1096a 27), kairòs è la declinazione del bene del tempo proprio perché «l’agire deve allora riferirsi al kairòs, al momento opportuno, cioè deve afferrare il tempo debito quando esso viene a maturazione e decidere l’azione» (p. 88). Ed è per questo che «il Kairòs di Lisippo sembra […] tradurre in immagini gli aspetti essenziali di questa dottrina»; la statua di Lisippo, quindi, può essere considerata come l’espressione diretta dell’azione, del tempo, del momento debito che deve essere afferrato non appena ci si presenti di fronte, pena la sua inafferrabilità, quella stessa inafferrabilità del momento propizio irrimediabilmente trascorso che, nei termini iconografici lisippei, si traduce nel Kairòs privo dell’appiglio della chioma nel lato posteriore del capo.
E forse ancora una volta non è un caso che proprio da una città antica della Magna Grecia, senz’altro determinante per lo sviluppo della filosofia occidentale, Elea, arriva un cippo datato alla metà del V secolo con l’iscrizione Olympio Kairo che attesta in loco la presenza del culto di Kairòs Olimpio. Il Kairòs fu celebrato come il più giovane figlio di Zeus in un inno di Ione di Chio e aveva un altare nel santuario di Olimpia.
Plotino attribuisce all’Anima la temporalità della durata, essendo tale ipostasi più a contatto con il mondo sensibile, e al Nous l’eternità a-temporale: significativamente Plotino scrive (en., III 7 7-8) che per indagare il tempo si deve discendere (katabateon) dall’eternità. All’altezza cronologica di Plotino e verosimilmente anche del mosaico antiocheno il significato di aion si era ampiamente stabilizzato: infatti con quel termine si indicava, da un lato, l’eternità in opposizione agli aspetti durativi della temporalità, dall’altro, come forse è il caso del mosaico in questione, l’eternità che si declina nella durata del tempo, passato presente e futuro.
Non più il tempo, dunque, ma i tempi, compreso anche il tempo morto ...
 
Aion e Kronos si possono coniugare e si relazionano, Kairòs è singolare e irripetibile .
Non è riproducibile a vostro piacimento .
E’ necessario dunque vivere più perennemente possibile nel Kairòs !
Per quanto riguarda le correlazioni
:
1) Aion è pertinente al corpo e anche l’eternità ha una durata limitata;
 
2) Kronos è pertinente alla nostra ( o alle nostre ) anima, che subisce la temporalità della durata e nel tempo si esaurisce ed estingue;
 
3) Kairòs è pertinente allo Spirito, in quanto “ per indagare il tempo si deve discendere (katabateon) dall’eternità” e “l’eternità che si declina nella durata del tempo, passato presente e futuro, pur restando a-temporale”.
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