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Il Matto … α e Ω

Il  Matto … α e Ω - Lo Spirito

Ogni lama dei Tarocchi ha due facce, può essere vista dal lato del cammino della coscienza così come una espressione del sonno dello Spirito, e il Matto non ...

      ... fa eccezione.

L’arcano raffigura un uomo in viaggio vestito da giullare, morso alla coscia sinistra da un cane che gli lacera i pantaloni. Ha una bisaccia appesa a un bastone, poggiato sulla spalla, che contiene tutti gli averi di questo "Viandante". Con la mano destra regge un altro bastone al quale si appoggia nel suo incedere. La numerazione di questa lama, la numero zero, indica che essa è al di fuori dalla numerazione assegnata alle altre ed esprime la sua estraneità a qualsiasi

 Ordine.

La carta viene quindi associata alla situazione di chi abbia terminato un ciclo della propria vita senza tuttavia averne iniziato uno nuovo, è l’archetipo del viaggiatore che attraversa una terra di nessuno, egli non si trova più nella città (nell’Ordine cosmico) che lo ospitava in passato, ma non è ancora in vista di quella che lo ospiterà in futuro. La sua Patria non è un luogo abitato sottoposto un sovrano e alle sue Leggi, ma un labirinto di strade.

Questo "Viandante" che , per definizione, “non appartiene”, è immagine di Mercurio, il dio delle strade e dei viaggi, il nume tutelare degli Alchimisti. La ferita che gli viene inferta dal cane che lo morde, non rimarginata e sempre rinnovata, lo spinge a proseguire nel cammino, e si tratta di quella stessa ferita che caratterizza il “fanciullo” e la “fanciulla” eterni, di quella inquietudine che agita chi deve cercare continuamente. Egli è anche l’eterno “Puer” che cova in chi non riesce a stabilizzarsi sentimentalmente, a riconoscersi in un lavoro o in un ruolo sociale, che non sente mai definitivamente di appartenere a una famiglia, a una Nazione, a un tempo o una civiltà definiti e, tuttavia, proprio per ciò, porta in sé il seme del rinnovamento.

Il Matto disfa e ricompone continuamente la trama degli opposti che ci servono per orientarci nell’universo e riesce a ripristinare l’oceano primordiale di colori, odori e suoni che assale i neonati alla nascita. Egli sa invertire la trama del Tempo e scorgere in uno stesso fenomeno le due diverse correnti del Divenire: ora il seme del futuro che si dilata per dare forma a nuove entità, ora il contrarsi delle forme che muoiono, il passato che svanisce e scompare alla vista
Il Folle si aggira quindi nell’ inestricabile labirinto del Mondo di Mezzo in cui la nostra intelligenza commisura “dentro” e “fuori” ordinando il mondo in opposti.

Se solo potessimo guardare il mondo con gli occhi di un neonato vedremmo un oceano di colori, di odori e di suoni. Prima ancora di discriminare un simile caos e tentare di ordinarlo secondo forme e criteri c’è una fase nella quale molte strade possono essere percorse e deve essere ancora stabilito cosa stia in alto e cosa in basso, cosa sia giusto e cosa sbagliato, in quale direzione occorre guardare per vedere le cose che aumentano e crescono, e in quale altra potremo scorgere le cose che diminuiscono.

Questa fase di caos percettivo e intellettivo ci conduce a quanto vedremo parlando dell’arcano del Bagatto, alla necessità di “bruciare” e dissolvere le forme pensiero. Una delle fasi fondamentali dell’Opus Alchemicum è nota come “rincrudimento della materia”. In questa fase l’alchimista è sotto l’egida del Matto e deve ricreare consapevolmente il caos primordiale, rinunciare a tutti gli strumenti intellettuali costruiti nel tempo per orientarsi nel mare dell’accadere, dissolvere ogni forma interpretativa della realtà, aprirsi totalmente all’ignoto, guardando il mondo con gli occhi di un fanciullo. Solo in questo modo, dicono gli alchimisti, la materia prima della loro Opera diviene attiva ed efficace, senza “Opera al Nero”, senza morire al mondo, senza il “rincrudimento”, senza ricreare quel caos primordiale che accompagnò i nostri primi passi nel mondo, nessuna

Opera è possibile.

Il Matto è anche il buffone di corte, che controbilanciava il potere assoluto dei re medioevali. Psichicamente rappresenta la via di uscita dall’Ordine nel quale siamo immersi, la nostra possibilità di gettare uno sguardo critico “da fuori” a ogni universo che ci “chiuda” quasi completamente nelle sue regole e nei suoi stilemi.

Alla domanda: “dove si dirige il Matto?” si può cercare di rispondere concentrandosi sulle sue gambe. Morso a sinistra da un cane, si aiuta a destra con un bastone.

Il morso del cane richiama, come abbiamo detto, la figura del Puer Aeternus, una figura analizzata nei suoi risvolti più segreti da Hillman: quella inquietudine che ci spinge a cercare in continuazione, quell’impulso a sottrarci ad ogni Ordine, ad ogni strutturazione definitiva della nostra vita, che è sempre legato a una ferita che non si rimargina. E’ la stessa ferita del Re Pescatore custode del castello del Graal, un castello che si trova fuori dal mondo, dalla realtà ordinaria, la stessa ferita di Filottete. Ogni figura di puer aeternus ha una simile ferita, che è la sua ricchezza e la sua maledizione.

Ricchezza perché spinge a guardare al mondo sempre con occhi nuovi, con gli occhi di chi ricerca la verità, Maledizione perché condanna a non trovare mai requie né riposo in un “porto sicuro”.

L’essenza del Matto si rivela in chiunque si opponga ad un ordine costituito senza aderire necessariamente ad un altro ordine contrapposto.

Opera nei i buffoni e nei giullari, nei rivoluzionari della prima ora (quelli che poi vengono giustiziati dai loro stessi compagni), si esprime nella ribellione verso ogni norma e autorità, nell’iconoclastia, nell’impulso a vagabondare senza fissare mai definitivamente la propria “patria”, nel motto “una risata vi seppellirà”, nella ribellione del figlio all’ordine instaurato da suo padre.

Il Matto trasforma ciò che appare solenne in pomposo, il commovente in sentimentale, il coraggio in presunzione, le lacrime in piagnisteo, l’amore in futile avventura, svela le maschere dietro le quali ci nascondiamo, ci fa uscire dalle rappresentazioni svelando che si tratta di rappresentazioni, ridicolizza le pretese del nostro Ego. Gilgamesh e Don Chisciotte, Amleto e Faust sono emblemi del

 Matto.

In amore il Matto non riesce a fissarsi su nessuna donna (o uomo) particolare e continua la sua ricerca dell’eterno femminino (o mascolino) attraverso ogni successivo incontro.

Il Matto è anche una figura tragica: chi lo vivesse senza consapevolezza trasformerebbe tutta la ricchezza che l’archetipo porta con sé in desolante povertà.

E’ il caso di Don Giovanni, che alimenta in sé il fuoco d’amore in quanto tale, indipendentemente dal suo oggetto. Non riesce a fissarsi su nessuna donna particolare e così è condannato a continuare la sua ricerca dell’eterno femminino attraverso ogni donna.

La ferita aperta del Matto è anche l’insofferenza e l’incapacità di adeguarsi a qualsiasi situazione che abbia una forma definita e sia soggetta ad un Ordine. Questo può anche condurre alla dispersione totale di se stessi, ad una ricerca vana e reiterata priva di oggetto.

Il bastone che il Matto tiene nella mano destra ed a cui si sorregge è l’Axis mundi: Il Matto è inizio e fine dell’Opera, è anche il saggio che è uscito dagli affanni del mondo ed ha rinunciato a ciò che il mondo poteva offrirgli: al potere come soddisfacimento dei desideri e alla via della conoscenza intesa come acquisizione di nuovo potere (la rinuncia dei poteri dello Yogin nello Yogasutra di Patanjali).

Anche questa è una uscita dall’”Ordine Mondano”, ma dalla parte del Saggio che lo ha trasceso. Così, oltre che “puer”, il Matto è anche senex perché non è più radicato al mondo e porta con se il piccolo fardello della sua esperienza personale sorreggendosi, per il suo sostentamento, all’axis mundi, al suo rapporto con il mondo dei simboli.

Avendo voltato le spalle all’intelletto, di tipo scientifico, o legato a tecniche magiche, o a una prassi di potere, egli viaggia per viottoli secondari.

Con la sublime contraddittorietà caratteristica dei simboli, la lama numero zero rappresenta da un lato l’Adepto alle prime armi e la Materia Prima rozza e ancora non lavorata, dall’altro la Pietra Filosofale dopo il suo compimento e il Mercurio Filosofico degli alchimisti.

In questa ultima veste il Matto incarna la condizione del visionario visitato dagli dei: è il sufi o il derviscio resi folli dall’amore per Dio, è l’iniziato ai Misteri di Dioniso in preda alla manìa, o la Pizia di Apollo in preda al furore profetico.

Terminiamo tornando al tempo e ai bardi della luna crescente che sfidavano quelli della luna calante. Possiamo applicare al tempo altri tipi di categorie. I greci distinguevano quattro tipologie di tempo: Kronos, Aion, "Kairós" e Suncronos. Fermiamoci alle prime due. Se il Kronos è il tempo dell’accadere quotidiano, del “qui ed ora”, del prosaico avvicendarsi degli eventi della nostra vita, l’ “Aion” è il tempo degli dei, il tempo in cui il divino, il luminoso, l’eterno fa irruzione nelle nostre vite. Sono pochi i momenti della vita che ognuno di noi può interamente ascrivere all’aion, quei pochi istanti eccezionali in cui veniamo messi a confronto con il mito o i miti che governano le nostre vite. (Esempio: vivono nell’Aion i personaggi dei miti e anche, in epoca moderna, i personaggi dei fumetti). In viaggio com’è tra due città, tra due ordini costituiti a nessuno dei quali egli appartiene, il Matto è immerso nell’Aion, nel tempo folle e sublime degli dei. Un tempo che è vicino al sogno e alla visionarietà. Da quel tempo può attingere infatti le immagini e le visioni di cui parleremo a proposito del Bagatto e può avvalersi dell’ “immaginazione attiva”, tecnica alchemica per eccellenza.

Del “Kairós” ne parliamo più approfonditamente in altri post.

Ma per attingere a quel pozzo pieno di tesori ognuno di noi deve, temporaneamente, rinunciare alla sua parte razionale, al suo essere immerso nel tempo ciclico dell’accadere, in definitiva a tutte le sue sicurezze.

Il Matto è forse la lama più enigmatica tra i 22 Arcani Maggiori.

Non ha numero, è contraddistinta dallo zero (O) che simboleggia il Caos dal quale ogni cosa procede e al quale tutto ritorna.

Seguendo l'interpretazione esoterica, può indicare l'iniziato il quale non abbia superato le prove impostegli e che rimane soggetto a un processo di regressione che lo conduce a perdere la coscienza dei propri effettivi limiti. Veste da giullare, ma non poveramente; per contro, ha un fagotto sul bastone che ne raffigurerebbe la povertà. E' insensibile alla morsa della necessità (non si cura del cane che gli morde il polpaccio), su di lui pare splendere il Sole ma davanti ha un baratro, segno d'involuzione e nuova caduta... e un altro bastone nella mano destra.....Egli dovrà ricominciare tutto daccapo.

Ma l'interpretazione alternativa raffigura invece colui che ha raggiunto il difficilissimo punto d'arrivo di tutto l'iter rappresentato dalle 22 lame.

E' in ricche vesti e su di lui splende il sole, simbolo di realizzazione, ma va ramingo e solo, portando con sè un fagotto pieno del solo essenziale. Il cane che lo morde, e del quale non si cura, può essere il dovere che necessariamente si è imposto e per il quale non avverte peso... e il burrone di fronte a lui, nel quale peraltro non cade, l'immenso oceano delle possibilità, sul ciglio delle quali cammina, in un non-mondo di solitudine totale. Da questo punto di vista il Matto è l'immagine del superuomo, del semidio... il quale si è svincolato da ogni cosa terrena, ma gravita ancora sul ciglio di ogni eterna potenzialità.

Tale lama a causa della sua ambivalenza, può essere collocata all'inizio o alla fine dei 22 Arcani.

Il grande ciclo si richiude su se stesso. La fine come termine assolutamente analogo a ogni inizio.

Non ha numero, è contraddistinta dallo zero (O) che simboleggia il Caos dal quale ogni cosa procede e al quale tutto ritorna.

Seguendo l'interpretazione esoterica, può indicare l'iniziato il quale non abbia superato le prove impostegli e che rimane soggetto a un processo di regressione che lo conduce a perdere la coscienza dei propri effettivi limiti. Veste da giullare, ma non poveramente; per contro, ha un fagotto sul bastone che ne raffigurerebbe la povertà. E' insensibile alla morsa della necessità (non si cura del cane che gli morde il polpaccio), su di lui pare splendere il Sole ma davanti ha un baratro, segno d'involuzione e nuova caduta... e un altro bastone nella mano destra.....Egli dovrà ricominciare tutto daccapo.

Ma l'interpretazione alternativa raffigura invece colui che ha raggiunto il difficilissimo punto d'arrivo di tutto l'iter rappresentato dalle 22 lame.

E' in ricche vesti e su di lui splende il sole, simbolo di realizzazione, ma va ramingo e solo, portando con sè un fagotto pieno del solo essenziale. Il cane che lo morde, e del quale non si cura, può essere il dovere che necessariamente si è imposto e per il quale non avverte peso... e il burrone di fronte a lui, nel quale peraltro non cade, l'immenso oceano delle possibilità, sul ciglio delle quali cammina, in un non-mondo di solitudine totale. Da questo punto di vista il Matto è l'immagine del superuomo, del semidio... il quale si è svincolato da ogni cosa terrena, ma gravita ancora sul ciglio di ogni eterna potenzialità.

Tale lama a causa della sua ambivalenza, può essere collocata all'inizio o alla fine dei 22 Arcani.

Il grande ciclo si richiude su se stesso. La fine come termine assolutamente analogo a ogni inizio.

 

Alla fine tutto torna … all’inizio, come dice G.B.Vico,

 

 

 all’Inizio è lo Spirito e alla fine ritroviamo ancora lo Spirito .

 

 

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